Per poter mantenere continuità nella propria prestazione, il tennista deve conoscere sia il proprio sé corporeo, che quello mentale. Infatti è proprio attraverso la cognizione di entrambi gli elementi che per il giovane atleta è poi possibile raggiungere la cosiddetta “peak performance”. Questo stato di ottimizzazione della prestazione è fornita all’atleta la cui condizione mentale viene definita appunto “flow state” (“stato ideale di performance”); in tale situazione il soggetto è completamente coinvolto e stimolato a perseguire i propri obiettivi.

La peak performance è un momento magico, durante il quale tutto si svolge nella maniera ideale. 

Lo stato di flow è definito come lo specifico e soggettivo stato mentale nel quale la persona attiva ed ha accesso a tutte le risorse necessarie a performare al meglio. Nel linguaggio sportivo spesso lo si chiama “trance agonistica”, o nei paesi anglosassoni è definito come la “zona”, lo “stare nella zona”.

Questo particolare stato di coscienza viene definito da Csikszentmihalyi, che per primo ha studiato il flow, come “un senso di trascendenza, come se i confini del sé fossero improvvisamente espansi, in cui si ci si percepisce un tutt’uno con ciò che stiamo facendo in una sensazione di armonia universale.” E continua “in questi momenti la consapevolezza del tempo scompare e le ore sembrano volar via senza che ce ne si accorga. Questo stato di coscienza è ciò che di più vicino alla felicità possiamo immaginare. Questo è il flow.”

Le ricerche in  Psicologia dello Sport hanno evidenziato l’esistenza di uno strettissimo rapporto tra l’attivazione psico‐fisiologica (o arousal) e la  riuscita di una buona prestazione.

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